Roma — Durissima con i dirigenti, morbida con le società. La Procura della Federcalcio ha inaugurato con le proprie richieste di pena il processo lampo sulle plusvalenze che venerdì darà già il proprio verdetto. Ma, prima ancora di iniziare, il giudizio contro il malcostume degli scambi gonfiati rischia di essere già minato da un vizio procedurale.
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Le richieste dell’accusa
Di certo, il Procuratore federale Giuseppe Chinè, ossia chi ha condotto l’indagine, ha un merito. È intervenuto, dopo anni di silenzio e implicita tolleranza, su un malcostume generalizzato nel calcio italiano: lo scambio di calciatori gonfiandone le valutazioni per ottenere vantaggi contabili. La procura ha avuto il coraggio di parlare apertamente di “plusvalenze fittizie”, nelle 195 pagine con cui rinviava al giudizio sportivo le 11 società – le 5 di Serie A coinvolte sono Juventus, Napoli, Genoa, Sampdoria, Empoli – e 59 dirigenti, tra cui i vertici di Juventus e Napoli. Ma l’impressione è che abbia scelto di puntare forte sulle squalifiche di nomi altisonanti piuttosto che punire i club: ha chiesto 12 mesi di inibizione per Agnelli, 11 e 5 mesi per De Laurentiis, 8 per Nedved e Arrivabene, 6 e 10 giorni per Paratici, l’ex ds bianconero. Ci è arrivato applicando un criterio: 6 mesi come minimo edittale per “illecito amministrativo”, più 10 giorni di squalifica per ogni plusvalenza fittizia. Se tramutate in condanne, costringerebbero le dirigenze delle squadre ad astenersi da una serie di pratiche – frequentare gli spogliatoi, interagire con i tesserati, incontrare gli agenti, andare in Lega, se non per questioni di tipo patrimoniale – fondamentali nella vita di un club. C’è ancora tempo per patteggiare.
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Il metodo di valutazione
Il processo ruota intorno a una domanda, a cui dovrà rispondere il Tribunale federale presieduto da Carlo Sica: può un metodo di valutazione dei calciatori definito a posteriori diventare il paradigma per una sanzione disciplinare? Nel dibattimento tanti hanno puntato l’indice contro il sito Transfermarkt: «Sembra che sia l’oracolo». Ma non è su quello che la Procura ha riformulato le valutazioni dei calciatori. Lo ha fatto sulla base di un metodo tutto suo: non un algoritmo ma una semplice somma di presenze, gol, categorie di provenienza. Premiando il curriculum più della prospettiva. «Secondo questo metodo i giocatori di 35 anni varrebbero tantissimo, quando in realtà nessuno vorrebbe comprarli, mentre dei giovani per cui ci hanno offerto milioni varrebbero centomila euro», ha detto un presidente, contestando il sistema.
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Indulgenza con Parma e Pisa
Ma è la Procura stessa a dare l’idea di credere poco nella solidità dell’accusa. Il motivo? Ha lei stessa smontato le accuse più pesanti, che potevano portare a una penalizzazione di Parma e Pisa. Il processo era stato anticipato proprio per celebrarlo a stagione in corso, vista questa possibilità. Ma ieri Chinè si è limitato a chiedere per entrambe una multa, 338 mila euro al Parma, solo 90 mila al Pisa: indulgenza per non far scontare le violazioni alle nuove proprietà.
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L’autogol della procura
Ma la Procura rischia di aver commesso un grossolano autogol capace di polverizzare l’intero procedimento. Un vizio procedurale, contestato dalle difese di tutte le società coinvolte. Il primo atto dell’indagine infatti è una lettera in cui la Covisoc – l’organo di controllo sulle società di calcio – invia quella che in un processo ordinario si definirebbe la “notizia di reato” alla Procura. Secondo le accuse, però, non lo è: scrive infatti la Covisoc di avere avuto “pregresse interazioni” con la Procura, e richiama una nota di sei mesi prima, ossia del 14 aprile. In cui la Procura avrebbe fornito alla Covisoc “indicazioni interpretative” per rintracciare possibili plusvalenze gonfiate. Le difese degli accusati hanno chiesto di avere accesso a quella nota. Ma è stata negata: per la Procura, non è attinente. Messa così, quasi una violazione del diritto di accesso agli atti. Soprattutto perché in quella nota erano contenute le “indicazioni interpretative” su come rintracciare possibili plusvalenze gonfiate. E questo vuol dire due cose. La prima: la lista di operazioni su cui si è concentrata l’indagine, è figlia di quelle interpretazioni. La seconda, molto più seria: la Procura aveva già notizia di irregolarità (agli atti, infatti, c’è un articolo di febbraio). E se così fosse, vorrebbe dire che Chinè non ha rispettato il termine di 30 giorni per aprire un’indagine. Vizio procedurale sufficiente, forse, a minare l’intero processo.
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